Mitra e cerume
- E quindi... - *GULP* Il rischio di aver la gola secca era stato prevenuto. La bocca senza nome continuò...
- ...ora che hai intenzione di fare? -
- Ora? - rispose la seconda bocca.
- Iiiiih...- sibilò una terza.
Stando seduti alla vigilia di Natale, Korev e Gatti, placidi come ombre, si scambiavano reciprocamente il regalo della presenza.
Illuminati appena dalla tenue luce di un’uscita di emergenza, immersa nell’ombra di un vicolo scuro, dove ogni cosa era cosparsa da una sostanza gelatinosa e giallognola.
Seduti, molli, su quel che sembrava un grosso sacco di patate, ma che a ben guardare non era che un uomo panciuto, in camicia e bretelle, con un foro in mezzo alla fronte, i due fumavano.
Ed allo stesso modo, lo stesso fumo, perpetuo ed etereo, sfuggiva da quel foro di proiettile perfettamente centrato in mezzo ai due incavi vuoti che erano stati gli occhi del ciccione.
Anche quel corpo era ricoperto di gelatina giallognola.
- Ora. ora... - La voce ambigua di Korev continuò.
- Ora... -
Piegò appena il collo in avanti e il volto apparve, finalmente chiaro, come un incubo carezzato da riflessi al neon. I piercing sul naso e le orecchie brillarono fatui, come anche i suoi denti metallici, appena visibili dalla fessura delle labbra.
- Ora! - sussurrò Gatti, il suo compagno, da sotto la sberiola.
- Ora! - ripetè Korev con lo sguardo perso nel vuoto di quell’istante. Mentre le lucide pupille riflettevano forti grida appartenute a popoli antichi, ora in pasto alle fiamme infernali.
Un istante nel quale ogni cosa divenne musica. Quella stessa musica che tu, lettore, puoi solo immaginare leggendo queste parole. La “Marcia Slava” di Tchaikovsky.
L’altro individuo non fiatò, ma si sporse anch’egli verso la stessa luce. Aveva il fisico di un sedicenne, con il volto, però, di un uomo ben adulto, sul quale andavano a delinearsi tante rughe da rassomigliarlo più ad uno Shar Pei adulto che ad un uomo.
Beh, comunque...
Luminosi, ardevano occhi sporgenti, dalle iridi verdi come vetri d’uranio, coronati da eyleiner e da ciglia ben tenute.
Va ben precisato che benchè questo sia un testo scritto, nel quale è impossibile stimolare il senso dell’olfatto, il tanfo di quel luogo, e di quella gelatina giallastra, erano così forti che se ora stai percorrendo il sentiero di questo paragrafo, lettore, ti converrebbe tappare il naso e trattenere la nausea.
Sapendo che i due individui, Korev e Gatti, non avevano alcuna intenzione di andarsene via.
- Ora cambierò vita. Me ne andrò. Voglio dedicarmi a qualcosa che mi renda libero e goder della gioia di quel sentimento... - disse Korev.
Silenzio.
- Ma non ti sembra un po’ riduttivo? Definir la libertà come un sentimento? Così e basta... - seguitò Gatti, con tono neutrale.
- E perchè mai dovrei. Cos’altro dovrebbe essere la libertà se non uno stato transitorio. - Alzò la voce Korev.
- Maledizione! Mi sono dimenticato cos’altro volevo dire! Grazie, continua pure ad interrompermi tu! -
Gatti non parlò, ma abbassò lo sguardo mugugnando flebilmente.
- Ok, dai. Ci riprovo... - disse Korev, sicuro.
- Voglio chiudere questo capitolo. L’arte stupida e borghese. Questa forma di moderna affermazione. Questa tracotanza di pensiero, di verbo. Queste forme, tanto fascinose quanto senz’anima, come il Cinema, il Fumetto, la Fotografia. La Letteratura. -
Gatti si sentì di controbattere. Poi ci ripensò. Era più curioso di vedere dove il compagno voleva andare a parare.
- Desidero si, propormi con questi “mezzi”. Ma solo in quanto gli unici. I soli, dai quali è innegabile che la Storia abbia avuto di che attingere.-
- E vice versa. - un attimo di silenzio.
- Ah, la Storia. - continuò Korev, ispirato - Che vile puttana...-
- Hey!- proruppe Gatti, non tanto infastidito dal senso di Korev, quanto dall’uso imprevisto del termine “puttana”.
- A volte mi chiedo sai, quanta gente fa le cose che fa, bravi, non bravi, geniali, idioti...Con il pensiero e con il corpo...e chi senza...-
- Cosa intendi?-
- Intendo dire che è difficile,...ma io voglio riuscir a farlo senza! - sancì Korev con voce quanto mai determinata.
- Voglio realizzare, non tanto me, non tanto le persone intorno a me, non tanto un cazzo di niente, quanto l’attimo. -
- L’attimo...? - Chiese Gatti.
- Si, Gatti, l’Attimo. - piantò Korev.
- Voglio realizzare qualcosa di puro, di fuori dal tempo. -
- L’attimo cos’è se non questo. -
- Si, l’ho visto anch’io quel film dell’Attimo che fugge, e bla bla...-
- Aspetta, no. Aspetta! Non parlo di quello. O meglio, non solo.-
- Vorrei riuscire a trovare la formula. Del “Corpo senza Organi”, ecco... -
- Del cosa? - disse interrogativo Gatti.
- Del maledettissimo CsO. L’elemento che mi piace pensare impossibile da definire. Libero dalle definizioni, almeno lui. Ma che ogni tanto, per qualche fortunato, diventa l’ispirazione, elevazione. La perdita di tutti gli schemi che ci obbligano, non so, a disengare in un certo modo o...ad usare tutta quella finzione nel Cinema. A scrivere come hanno già scritto altri prima di noi. A sottostare... - Gatti attese che giungesse l’accusativo della frase ma così non fu.
- Ad essere vittime. Vittime del presente e del passato...Fatti per creare, di conseguenza, vittime del futuro... -
- Oh, cazzo... -
- ...Vittime di un sistema non scelto, di un’etica, di una filosofia, di un senso estetico e di un’Arte e di una critica. -
- Io voglio l’illimitato. O almeno, come tutti, un illimitato istante. - E ancora - La Storia è solo il modo attraverso il quale diamo uno ordine alle cose. Tzè! “Ordine”... La storia è il tempo. E il tempo è fascismo... -
Gatti taceva.
- ...cerebrale. Fascismo scientifico. Fascismo storico. Fascismo socio-culturale. -
- Non saremo mai degli stronzi liberi da questo, ormai è chiaro. Ma possiamo comunque intercettare alcuni attimi, in quella farsa che è la vita “storica”, lineare, che ci siamo convinti essere l’unica ad esistere. Ed io voglio fare del mio, giunto fin qui, per dilatare quest’attimo. -
- ...Per trasmetterlo, come energia. Contaminandolo, ahimè, con tutte le Arti...false e borghesi. Pronto ad accollarmi l’incomprensione delle masse e l’Odio delle false élite. - sospirò rabbioso Korev.
- Proprio per quello esiste l’Essere no? Per essere demolito.-
- Ad ogni modo...Con molte meno parole di ora, ecco.-
- Ci sto ricamando sopra fin troppo. Porca...- Korev si censurò.
*PUAH*
Lo sputo raggiunse la melma giallognola sul pavimento assorbendo di molto il suono che ne sarebbe risultato in quello spazio silenzioso e venendo a sua volta assorbito.
- Iiiiih - si inserì la terza voce, per poi tacere.
Era il ciccione con le bretelle, decomposto ed immobile. Freddo. Con i bulbi oculari, privi di bulbi, nei quali sembrava che il nervo ottico avesse proliferato, trasformandosi in una pianta dal colore rossiccio.
Le cartilagini del naso, quasi completamente colate fin sotto la mandibola, sciolte, lasciavano nel centro del volto due piccoli fori umidi.
Ed ogni orifizio era cinto da una corona dorata di bollicine purulente e rossicce.
Le gengive in vista poi, sembravano cristallizzate nella melma gialla che le ricopriva, come dell’ambra antica o miele esotico.
Silenzio.
Gatti giocherellava con le mani pelose, mentre Korev, spento, aveva abbassato completamente il collo, illuminandosi la nuca e risultando completamente scuro in volto.
Finalmente, dal gialliccio pavimento cominciarono a prodursi delle bollicine dall’aria infetta. Una bizzarra ebollizione prodotta dal terreno e dalle pareti del vicolo. Quasi come se la stradina stesse subendo altissime temperature, fondendo.
Una natura di qualche genere stava tornando a popolare quel luogo, riempiendo di bolle e pustole lo spazio inanimato intorno ai due amici ed al ciccione.
- Oh, si...- disse languidamente Gatti, socchiudendo leggermente gli occhi con smorfia di gioia. O era piacere?
Una musica leggera aveva iniziato a farsi strada in quell’angusto viottolo. Prima degli archi, poi gli ottoni. Lentamente il suono si faceva più forte, così come anche le bollicine sembravano crescer sempre più prospere e copiose.
- Alla Natura, amico mio. - disse Gatti voltandosi a guardare Korev alla sua sinistra, agitando il braccio come ad impugnare un boccale di birra. O a dirigere un’orchestra?
- Affanculo. - rispose l’altro senza muoversi di un muscolo.
Alcuni secondi passarono rapidi, nella tensione di una conversazione abortita e all’apparenza non conclusa.
Ancora. Silenzi.
Fino all’esplosione di una risata folle.
Tanto forte e sentita che i due iniziarono a trottare per via degli spasmi sul corpo del Ciccione decomposto che per uno strano effetto, dovuto anche alla crescita delle bolle sembrava ridesse con loro.
- Iiiih-iih-ih-
Infine Korev azzardò un altro pensiero, ancora in preda agli spasmi del riso, lottando per controllarsi.
- Dio...- s’interruppe ancora per ridere, con sottofondo di Gatti.
- Dio ch...ahahahah! - lacrimava.
- Dio cane. Non ne posso più. - concluse cambiando tono e rattristandosi un poco. Poggiando l’indice sotto le narici appena inumidite.
Gatti assentì.
- Già, neanche io. -
- Quando pensi arriveranno le Nazioni Unite a riprendersi questo qui? -
Fece tirando un colpo di tallone all’ammasso ormai putrido del ciccione.
- Spero entro le prossime cinque Fioriture. - rispose Korev sornione.
- Già. -
Gatti si accese una nuova sigaretta spandendo fumo oltre il suo naso. Perpetuo ed eterno, come quello che sbocciava dal foro di proiettile perfettamente centrato fra gli occhi di quel sacco di patate. Non aveva mai smesso.
Poco più lontano stava un tesserino voltato a faccia in su, con una piccola bandiera a stelle e strisce in un angolo in alto a destra. Il resto era coperto da una grossa macchia di sangue rappreso, unta a sua volta dal liquido ceroso di cui tutto era cosparso. Con un poco di difficoltà, caro lettore, avresti potuto riconoscere il logo attorno al quale campeggiava una scritta:
“EXECUTIVE OFFICE OF THE PRESIDENT OF UNITED STATES”
Un gogoglìo si fece largo nella gola del ciccione, come un lamento.
Un sibilo, ripetuto e sovrapposto a molti altri, che trovava origine in quel buio nauseante che era una bocca spalancata. Privata da tempo del suo grido pietoso, evaso e mai tornato.
Ma il suono, di mille sibili, continuava più forte.
Ancora ed ancora. Ormai insopportabile.
- Iiiihhh. - sembrava pronunciare quel poco che restava dell’uomo, mentre i due aguzzini, spariti dalla scena, presenziavano come coppie di stivali di pelle al fianco del corpo.
Poi successe.
Un denso riflesso di mare corvino, fatto di zampette e antennine, divampò dalla bocca di quello scheletro unto di grasso.
Erano centinaia e centinaia di avidi scarafaggi. Neri, lucidi, giunti portando con loro il suono dell’umanità stessa, schiumosa, frenetica e nauseante al tempo stesso.
Accompagnata egregiamente da una nuova overture, con le viole ed i violoncelli di una superba nona sinfonia di Dvorak.
Korev e Gatti sparivano lentamente nel denso fumo e nel forte suono di quegli sfregolii. Nell’odore putrido di quella sostanza infetta e nella trepida domanda se l’esser consci in un Sogno, somiglia tanto più che al sogno di viver coscienti.
Matteo Pigoli
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