sabato 28 dicembre 2019

[DUE PAROLE] Il Pinocchio di Garrone


Vorrei parlare di Pinocchio.

Si, vorrei parlare proprio di Pinocchio, ma Pinocchio e basta.
Ho detto abbastanza volte Pinocchio? Forse non abbastanza.
Eppure di "Pinocchi", ora che siamo al termine di questo 2019 , se ne sono visti tanti. Opere teatrali, pellicole cinematografiche, reinterpretazioni fumettistiche e chi più ne ha più ne metta.
Pinocchio è un Classico. Una storia senza tempo, quella del buon Collodi, che al limitar del XIX° secolo scrisse "Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino".
Ma bando alle ciance, perché questa recensione, se di recensione vogliamo parlare, non toccherà il tema dell'opera prima e tanto meno delle successive.
Solo dell'unica, singola rivisitazione, distribuita quest'inverno da 01 Distribution, per la regia di Matteo Garrone (Gomorra, Dogman).


Pinocchio





Dissolvenza del titolo (font graziato/3D effetto oro) su fondo bianco panna, accompagnata da un dolce arpeggio di chitarra a cui seguirà la colonna sonora portante del film firmata da Dario Marianelli (Darkest Hour). Andiamo incontro alla scena di un campo lunghissimo rappresentato da un paesaggio collinare, tipicamente italiano, coperto da una lieve coltre di neve. Sulla collina sta un piccolo villaggio, quello di Mastro Geppetto (Roberto Benigni), un umile falegname povero in canna, intento a raschiare, con gli attrezzi del suo mestiere, gli ultimi residui commestibili di una forma di formaggio.
Dal canto suo, il falegname è un uomo buono, un po' strambo ma volenteroso, che vive solo e tira avanti, anche grazie alla cortesia  dei suoi compaesani. Tira avanti, fino al giorno in cui, passeggiando per una strada del suo paese, incrocia  un ambulante, nell'atto di promuovere uno spettacolo itinerante di burattini.
Geppetto, guarda affascinato, attraverso le sbarre della carrozza, quelle sagome di legno vestite di tutto punto, tanto simili alle persone come lui, ma migliori, seppur prigionieri.
Pervaso dall'estro dell'ispirazione, giunge alla bottega di Mastro Ciliegia per chiedere legno da poter lavorare. Un legno incantato, che lo stesso Ciliegia, intimorito, gli cede senza chieder nulla in cambio. Una materia unica dotata di volontà, dell'alito della vita, alla quale l'uomo dona una forma: quella di un bambino. "Il mì figliolo", come lo chiama Geppetto, o ancora meglio Pinocchio, come decide effettivamente di nominare il burattino (senza fili).

Scena #1 La nascita
Il tronco di legno, ancora in lavorazione, prende vita improvvisamente alla richiesta del falegname di chiamarlo "babbo". Si tratta di un tronco con il volto di un bimbo, ma tanto basta all'artigiano di Benigni per sentirsi straripante di un amore paterno.
Una gioia infinita, della quale l'uomo si sente in dover di rendere partecipe tutto il vicinato. Descrivendo tanto spontaneamente la commozione di un padre che realizza di aver avuto parte attiva nella creazione di una vita nuova. Viene investito del suo compito.

"è nato un figlio. Son diventato babbo! Son diventato babbo! Auguri!"

Siamo di fronte dunque all'incipit della storia, alla sua nascita, quella di Pinocchio, ma anche a quella dello spettatore (ri-nascita) in quanto bambino.
Sappiamo bene a cosa ci stiamo approcciando. una storia intricata, allegorica, siglata da un forte contratto di fiducia tra autore e spettatore. La storia di un burattino di legno, si, ma anche di una famiglia povera, di una crescita
Un racconto, quello della crescita, nel quale se ti addormenti, se abbassi la guardia, ti ritrovi con i piedi carbonizzati.


"Ti prego papà! Fammi dei piedi nuovi!"


Una storia di padri...
E quale altro potrebbe essere il ruolo di un genitore se non quello di mettere in guardia un figlio ferito? Di insegnargli che il "fuoco" brucia e che il mondo è pieno di "fattori di rischio"?
Ovviamente quello di curargli le ferite, con la dedizione incrollabile che solo un padre o una madre possono dimostrare. Facendo la voce grossa, in primo luogo, per insegnare quanto nulla sia veramente dovuto e tutto s'abbia da guadagnarsi.
Sfruttando una regia ispirata e toccante, fatta di un comparto tecnico alle spalle di tutto rispetto, in grado di favorire doti attoriali, inquadrature espressive ed una colonna sonora dolcissima, Garrone mette in scena la lotta dell'innocenza con il Sistema-Tutto. Favorito da un altrettanto ispirato Nicolaj Brul, già presente, nel film Dogman, (dello stesso Garrone) nel ruolo di Direttore Della Fotografia (DOP).

"Si è mai visto un burattino senza fili?"


E sarà proprio questo burattino senza fili, senza filtri, a portare persino il terrificante Mangiafuoco (Gigi Proietti) ad un atto di pietà, quello di accontentarsi per una volta, in favore del prossimo.

"Allora vorrà dire che mi dovrò accontentare di mangiare un montone mezzo crudo..."


Viene dunque da iniziare a pensarci. Quale immenso dono ha fatto Geppetto a Pinocchio, donandogli forma. Dando alla volontà la possibilità di esser parte del mondo degli uomini senza appartenerne ai più bassi traguardi (ancora).
Un burattino senza fili, bambino per di più, risulta quasi un superuomo agli  occhi di chi ormai ha assorbito a pieni polmoni e ininterrottamente quel percorso che è l'affermazione sociale.. Un burattino senza fili, come un corpo senza organi, è  una forma che nella privazione trova la sua grazia, la sua "ragione", la sua bellezza e la sua crudeltà.
Libero dagli schemi di una società pesce-cane, ma allo stesso tempo obbligato a tuffarcisi dentro, per aiutare i suoi affetti. E proprio in rapporto al Simbolo di questa società moderna, ovvero il Denaro, compaiono peersonaggi come il Gatto e la Volpe ( Rocco Papaleo e  Massimo Ceccherini).
Manigoldi di professione, squallidi fino al midollo, colpevoli di aver voluto truffare l'Innocenza fin dal primo istante.


"Spizzichiamo?"


E da questo momento le scene notevoli si susseguono una dopo l'altra. Dalla malaugurata fuga di Pinocchio dagli assassini (Papaleo e Ceccherini) al periodo d'istruzione sotto l'ala del rigido Maestro (Enzo Vetrano) e della fata Turchina. Dalla spensieratezza di Lucignolo al dramma della trasformazione in asini con successiva schiavitù ed "esecuzione", legato ad un macigno e gettato in mare. Per poi giungere, come da copione, al ventre del gran Pesce-cane.
Scena #3
Il Pesce-cane
Una sequenza magnifica quella all'interno del pesce-cane. A cominciare dal breve, ma potente, dialogo di Pinocchio con il Tonno, personaggio chiave per lo sviluppo successivo, che come Geppetto ha rinunciato alla speranza di uscire ed attende solo di esser fagocitato da quel gran mostro, quel gran sistema naturale.
Una scena che trova il suo apice nella fuga di un padre e di un figlio dal ventre di un mostro.
Che mette in scena, nella sequenza di fronte all'oceano, nel palato del pesce-cane, il pretesto per mettere a nudo l'uomo timorato (e timoroso), che ha dato tutto alla Vita e il giovane uomo che prenderà il suo posto.

"Pinocchio, io non so nuotare."
"Non ti preoccupare. Ci sono io che nuoto benissimo! E poi sono fatto di legno. Galleggio!"
"Lo so che sei fatto di legno. T'ho fatto io, Pinocchio! ma ti pare che un burattino come te, alto un metro e mezzo mi possa portar sulle spalle?"
"Babbo, io ce la farò."

A questa scena si collega la successiva. dimostrazione della determinazione del burattino, e di uno scenario naturale assolutamente magnifico.
Scena #4
Pinocchio e il lavoro
Usciti dalla pancia della balena Pinocchio e Geppetto sono stremati. Così, trovano una casa diroccata in campagna dove Geppetto resta a riposare e dove sarà compito di Pinocchio andare in cerca di denaro e viveri per migliorare la situazione del padre.
Prendersene cura.

Pinocchio continua, come noi nella Vita, ad immergersi sempre più in fondo, fino a trovare un lavoro, sempre uguale da svolgere, come girare un torchio per far uscire dell'acqua da un pozzo. Eppure Pinocchio è felice, perché quel torchio non è solo un lavoro ed il denaro che guadagna non è solo guadagno. Quei denari, tanto bramati dai truffatori che sempre esisteranno, sono cultura, tanto sfuggita a Lucignolo, e miglioramento della salute e della condizione sociale (come per Geppetto). Non sono mezzi per raggiungere un bene di consumo, ma una forma di miglioramento della vita per la vita.

Notabile altrettanto la scena del tribunale:

"In questo paese gli innocenti vanno in galera."


Insomma, nel complesso un film, un trattamento autoriale, di tutto rispetto nella  risma di trasposizioni dell'opera di Collodi.
Scenografie ineccepibili,visionarie, ed uno studio della luce che, a detta dello stesso Garrone, ha voluto strizzar l'occhio all'Arte dei  Macchiaioli, trovando la sua ragion d'essere in una storia tanto antica quanto moderna.
Estetico, ma anche denso di significato. Un viaggio da affrontare cercando di staccarsi dalle  premesse di una vita già bella che affermata (nel bene nel male e nel mezzo). Lontano da quella solidità che è solo un'illusione. Che sprona ad esser più bambini, o ancor meglio, burattini senza fili.
E lascia ai bambini il compito di essere se stessi, fino in fondo. Anche perché essere un bimbo vero, vivente e finibile, o pensare di desiderarlo, è il giusto pagamento per questo grande investimento che è la vita e le sue responsabilità ( da non confondersi con gli  obblighi sociali!).
Eterna virtù.

Dovessi dargli un voto sarebbe sette e mezzo. Anzi, forse anche otto.



P.s: Non  ho  nominato il  personaggio della Fata Turchina, essenziale per la  storia quanto  tutti i personaggi che le ruotano intorno.Interpretato dalla bellissima Marine Vacth. Una parte della crescita di Pinocchio che trova il suo culmine nella consapevolezza che i burattini non possono crescere mai, mentre la fata nel tempo è diventata da bambina
ad adulta.

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